La campagna di scavo realizzata da Archeodomani tra Luglio ed Agosto 2018, con la direzione scientifica di Alfredo Guarino, sul sito di Domo (Bibbiena, AR) è stata contemporaneamente impostata sulla parziale riapertura di aree già indagate nelle campagne precedenti e sull’indagine di nuovi settori.
Due le aree di intervento: la prima posta ad Ovest delle Grandi Terme ed a Sud del cosiddetto Plesso Nord, finalizzata all’indagine degli ambienti 17 e 18, parzialmente indagati nelle campagne precedenti; l’altra posta a Nord-Est delle Grandi Terme, tesa all’indagine delle prime strutture murarie non direttamente legate ai grandi plessi già conosciuti.
Ambienti 17-18
Scopi del saggio erano la definizione dell’estensione e forma degli ambienti e l’indagine delle stratigrafie, verificandone la similarità o meno con quelle degli ambienti limitrofi già scavati. Per quanto riguarda l’ambiente 17, si è riscontrata in primo luogo la fitta presenza di buchette circolari, relative a tracce di coltivazioni e pertinenti a fasi medioevali o postmedioevali di frequentazione del sito. Tali interventi intaccavano lacerti di stratigrafie collegabili alle fasi di abbandono del sito, anch’essi già attestati e, come verificato altrove, probabilmente in parte danneggiati da lavori agricoli moderni. Al di sotto si è identificata la prosecuzione del grande livello di frequentazione, già attestato negli ambienti 15 e 16, collegabile con la fase di vita delle terme e posto in copertura delle creste dei muri degli ambienti, a testimonianza di una loro defunzionalizzazione e demolizione in questa fase. Asportato questo strato, sono stati identificati scarichi di elementi litici e laterizi, intaccati in antico da interventi di scasso e risarciture.
L’asportazione di questi elementi ha segnato la fine delle attività per l’esaurirsi del tempo a disposizione per l’indagine. La similarità con le sequenze stratigrafiche indagate negli anni precedenti (in particolar modo nell’ambiente 15) è evidente: interventi post classici legati a coltivazioni che intaccano gli strati di abbandono, a loro volta posti in copertura dell’ultimo livello di frequentazione (relativo alla ristrutturazione dell’area in un probabile spazio aperto che fiancheggia l’edificio termale). Il livello di frequentazione a sua volta oblitera e regolarizza l’area all’indomani della demolizione degli ambienti. Al di sotto di esso si identificano i probabili strati di preparazione e consolidamento al piano (con segni di rilavorazione: scassi e ricolmature). E’ molto probabile che, sulla falsariga degli ambienti vicini, le prossime campagne permetteranno l’identificazione dei veri e propri piani pavimentali dell’ambiente (o dei loro lacerti) e delle preparazioni agli stessi. Allo stato attuale, l’ambiente sembrerebbe aperto sul lato Ovest.
Le indagini delle stratigrafie dell’ambiente 18 si sono viceversa arrestate all’identificazione degli interventi postclassici (anch’essi consistenti in serie di buchette alle quali si aggiunge una grande buca rettangolare – tipo di intervento anch’esso già noto nelle aree limitrofe), al lacunoso livello sottostante di abbandono ed a strati relativi al livello di frequentazione collegabile alle terme.
All’interno di esso, infatti, si è rinvenuta una lacunosa ma forte presenza di semi carbonizzati, consistenti probabilmente in grano con, forse, molto più rari vinaccioli, la cui messa in luce, documentazione e parziale asportazione ha richiesto tempi lunghi d’intervento. Per quanto riguarda il perimetro dell’ambiente 18, non è stata ancora identificata la chiusura a S, mentre vi è una sezione del lato Ovest, ma non ancora i punti di contatto con i muri Nord e Sud.
Area a NE delle Grandi Terme
Il saggio in questione costituiva l’ampliamento ad Est di uno dei saggi della campagna di scavo 2017. Scopo principale era il prosieguo della messa in luce di una unità stratigrafica muraria identificata lo scorso anno che aveva suscitato notevole interesse: il muro non appariva, infatti, connesso a nessuno dei due grandi plessi vicini (Grandi Terme e cd. Plesso nord), e, compatibilmente con la scarsa estensione messa in luce, non sembrava neppure strettamente coorientato alle grandi strutture vicine.
Le attività di scavo nel saggio del 2018, da ritenersi pressoché ultimate, hanno permesso di focalizzare due elementi di particolare interesse.
In primo luogo sono state identificate presenze postclassiche consistenti in un leggero muretto Nord-Sud di ciottoli non legati, del tutto comparabile (e coorientato) con analoghe strutture rinvenute più a Sud nel 2010.
Il muretto è poi da porre in connessione con strati orizzontali con matrice terrosa giallastra, ben conosciuta e variamente individuata, nel corso degli anni, nell’assoluta maggioranza dei casi come riempimento di buche postclassiche (ma mai finora attestata in stratigrafie orizzontali).
In secondo luogo, per quanto concerne il muro identificato lo scorso anno, ne è stata effettivamente individuata la prosecuzione, ma la nuova porzione messa in luce è risultata probabile oggetto di scasso e parziale demolizione in antico e di un successivo risarcimento leggermente diverso – a quanto sembra – per tecnica e orientamento. Anche in questo caso il relativamente ristretto campo di indagine non permette un’analisi definitiva che viene rimandata alle prossime campagne di scavo.
Da segnalare, oltre l’ampia campionatura di semi carbonizzati, il rinvenimento di uno spillone bronzeo frammentario e di un quinarioargenteo databile al 99 a.C.
Davanti alle prime immagini delle strutture di un’antica chiesa sommersa sotto le onde del lago turco di Iznik (l’antica Nicea, 130 km a sud-est di Istanbul, nella provincia di Bursa), Mustafa Şahin, archeologo dell’Università di Bursa Uludağ, non riusciva a credere ai suoi occhi.
“Quando gli ispettori dell’amministrazione locale mi hanno mostrato le fotografie aeree del lago, sono rimasto a bocca aperta nello scorgere chiaramente sotto la superficie dell’acqua i resti di un’edificio religioso” ha detto Şahin a Live Science in una e-mail. “Nonostante dal 2006 stia curando campagne di ricerca archeologica a Iznik, non mi ero mai imbattuto in strutture di questa importanza”.
Le rovine dell’antica chiesa, con le tre navate e l’abside ancora riconoscibili con chiarezza, si trovano a circa 50 metri dalla riva, ad una profondità di 3 metri.
Nel corso dello scavi subacquei effettuati da Şahin e dal personale del Museo Archeologico di Iznik, resi ancor più complicati dal clima caldo della regione che favorisce il proliferare di alghe e la conseguente riduzione della visibilità, sono state individuate anche diverse sepolture sotto uno dei muri principali della basilica, e le monete in esse contenute hanno permesso di ricostruire la cronologia dell’insediamento. Risalgono ai regni degli imperatori Valente (364-378 d.C.) e Valentiniano II (375-392 d.C.), e fissano quindi la costruzione dell’edificio di culto al 390 d.C.
Probabilmente dedicata al martire paleocristiano Neophytos, San Neofito, messo a morte proprio a Nicea dai Romani nel 303 d.C., durante il regno dell’imperatore Diocleziano, la basilica venne distrutta da un terremoto nel 740 d.C. e progressivamente ricoperta dall’acqua.
Ma le sorprese non sono finite. Sotto di essa, infatti, sembra nascondersi un altro tesoro. Il ritrovamento di alcune monete (e dei frammenti di una lucerna) fa ipotizzare una datazione ancora precedente. “Potrebbe esserci un tempio” – si è chiesto Sahin – “sotto i resti della basilica?”. Secondo documenti d’epoca romana, infatti, l’imperatore Commodo, edificò un tempio dedicato ad Apollo a Nicea, al di fuori delle fortificazioni della città.
Vista l’importanza del sito, Mustafa Şahin ha chiesto che l’area diventasse sede del primo museo archeologico subacqueo della Turchia. Il progetto, che ha trovato l’appoggio di Alinur Aktaş (ex sindaco di Bursa e influente politico locale) prevede la realizzazione di una torre per permettere di vedere le rovine dalla riva, una passerella sul lago, sopra il sito, e una stanza sommersa con pareti di vetro direttamente al livello della navata principale della basilica. I lavori sono in corso, e l’apertura per i primi visitatori è al momento prevista per il 2019.
Da Venerdì 21 a Domenica 23 Settembre 2018, il Parco archeologico di Canne della Battaglia (Barletta) si è animato grazie alle attività dell’Associazione di studio e rievocazione storica “Mos Maiorvm” che, in collaborazione con l’Antiquarium di Canne della Battaglia, ha ricostruito gli accampamenti dei legionari romani e dei soldati di Annibale proprio nella valle del Basso Ofanto, in quei luoghi teatro del celebre scontro fra Romani e Cartaginesi.
I gruppi di scolaresche e di turisti provenienti da tutta Italia hanno potuto visitare le tende completamente allestite, vedere all’opera i soldati, conoscere tutti gli aspetti della vita quotidiana in un campo militare al tempo della Seconda Guerra Punica. E, semplicemente attraversando la strada, seguire un lungo e affascinante percorso che include l’Antiquarium, i notevoli resti di epoca romana, paleocristiana e medievale sulla cosiddetta “cittadella” e infine l’antico villaggio con sepolcreto in località Fontanella. In particolare nell’Antiquarium il consistente nucleo di materiale archeologico documenta la lunga continuità di vita di Canne dalla Preistoria al Medioevo.
Nelle parole del direttore scientifico Alfredo Guarino, un primo resoconto della Campagna di Ricerca Archeologica “Domo 2018” condotta tra Luglio ed Agosto a Bibbiena in località Domo/Castellare.
Alle attività di scavo, documentazione e lavoro sui materiali hanno partecipato studenti, professionisti e appassionati, coordinati dalla nostra equipe di archeologi.
Come ogni anno, un sincero ringraziamento al Comune di Bibbiena e al Museo Archeologico del Casentino per l’accoglienza e la disponibilità dimostrata.
Abbiamo terminato l’intervento di pulizia della moneta d’argento portata alla luce nel corso della campagna di scavo “Domo 2018”
Quinario d’argento ritrovato durante la campagna di scavo “Domo 2018”
Sulle due facce sono tornate perfettamente visibili la testa di Giove, la Vittoria (in piedi, nell’atto dell’incoronazione di un trofeo) e l’iscrizione P.SABIN.
Gli elementi confermano il confronto con un quinario d’argento di Publio Vettio Sabino del 99 a.C.
Anche lo strato di provenienza è molto interessante: si tratta infatti del piano di calpestio che copre gli ambienti demoliti in occasione della ristrutturazione generale dell’area in complesso termale. La presenza della moneta fornisce quindi un orizzonte cronologico del periodo di creazione ed uso di tale piano, prima del quale si deve quindi situare l’edificazione delle terme.
Nelle immagini vi mostriamo gli strumenti utilizzati, tra cui l’endoscopio per l’ingrandimento (che permette all’operatore di avere su computer una visione più nitida dei particolari) e la penna abrasiva con refill in fibra di vetro con cui è stata effettuata la pulizia.
Endoscopio per l’ingrandimento
Penna abrasiva con refill in fibra di vetro con cui è stata effettuata la pulizia
La terza settimana della Campagna di ricerca Archeologica “Domo 2018” si apre con un ritrovamento curioso: semi (probabilmente cereali) carbonizzati provenienti da un piano pavimentale in terra battuta.
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